lunedì 5 gennaio 2015

Primi 5 capitoli.

SIMONE MANSERVISI

LO STRANO CASO DI GASTRITE DEL SIG. BARTEZZAGHI



Dedicato a quel genio inespresso del Dottor M.




“Il dolore può essere terribile, ma non è mai insopportabile. Quando lo è veramente, non lo sentiamo più.”

Sàndor Màrai (LA SORELLA)




NOTA DELL’(EX) EDITORE


Quando il manoscritto di Filippo Corona è arrivato sulla mia scrivania, l’Editrice Cisco Ribelle stava ormai chiudendo i battenti.
   Con Filippo non sono più in contatto da tempo e non ho mai discusso con lui le pagine che seguono; i fatti descritti corrispondono effettivamente alla realtà, ma nel momento in cui scrivo nessuna indagine è stata ancora avviata nei confronti del celebre scrittore Saul Bartezzaghi.
   Credo che Pippo sia stato molto in gamba a intrecciare fatti di cronaca con la sua fervida immaginazione, ma potrei anche sbagliarmi. Comunque, che si tratti di realtà o fantasia, faccio i migliori auguri a Filippo e a questo libro “malato”.

Giordano Fagioli



1


Conobbi Saul Bartezzaghi quando ancora era uno scrittore esordiente in cerca di pubblicazione. Nel 1997 giunse all’ Editrice Cisco Ribelle il dattiloscritto intitolato “Se”, firmato S.B. Il boss della casa editrice dove lavoro come editor, dopo avergli dato una scorsa veloce, mi passò il voluminoso plico.
   “Vedi un po’ cosa te ne pare, a me sembra che con un piccolo intervento di editing, si possa tranquillamente pubblicare” mi disse.
   In effetti non c’era molto da correggere, l’opera era ben scritta e la trama spassosa e coinvolgente filava via liscia. Dissi a Giordano Fagioli, il boss, che se voleva proporre un contratto a Bartezzaghi (e lui avesse accettato) non ci sarebbe voluto molto per la correzione delle bozze.
   La Cisco Ribelle è una minuscola casa editrice che pubblica esordienti a pagamento. Purtroppo nel mondo della piccola editoria se non chiedi un contributo all’autore è dura tirare avanti; si può puntare sull’autore di effettivo talento senza chiedere alcun versamento, ma è comunque un rischio; al giorno d’oggi se ti chiami Pinco Pallino puoi avere il talento che vuoi ma sfondare rimane utopia. Ad ogni modo la Cisco chiede un a mio avviso più che onesto contributo all’autore. E forse anche grazie a questo più che onesto contributo, Saul Bartezzaghi decise di firmare il contratto e pubblicare “Se” con noi.
   Come detto fui io a controllare e ricontrollare i trentadue capitoli che componevano l’opera prima di Bartezzaghi. Corressi qualche errore grammaticale, qualche svista, aggiustai appena la sintassi di qualche periodo, interpolai ed espunsi il minimo indispensabile. E Saul fu contento del mio lavoro, me lo disse quando ci incontrammo la volta che venne a Bologna alla Cisco Ribelle. Era arrivato da Pisa, dove abitava, a visionare le varie opzioni per la copertina. Avemmo modo di conoscerci passando un intero pomeriggio in ufficio e la sera in pizzeria con il boss. Fagioli rimase con noi giusto il tempo di finire la sua quattro stagioni poi disse di avere un impegno e se ne andò. Fu nella seguente ora e mezzo – in cui rimanemmo a tavola a bere limoncello a cascate – che una sorta di empatia si sviluppò tra me e Saul.
   “Sai Filippo, mi piace la vostra casa editrice, mi sembrate gente onesta. Pensa che nel ’92 spesi ben nove milioni di lire per pubblicare un volumetto di poesie di cinquanta pagine!”
   “E chi erano questi ladri?”
   “L’Editore Nuovo Autore di Milano! Allora non conoscevo questo mondo, ero un giovane ingenuo che voleva veder pubblicati i suoi versi ad ogni costo. Incappai nella Nuovo Autore, venni blandito furbescamente e caddi nella trappola…”
   “Lo so, ci sono editori truffaldini, bisogna stare attenti.”
   “Comunque ricordati queste parole caro Pippo: ora pago per pubblicare, ma arriverà il giorno in cui non dovrò sborsare una lira, anzi, mi pagheranno per scrivere qualcosa!”
   Quel giorno arrivò quattro anni dopo con “Sbronze road”. Intanto quella sera posso dire che diventammo amici; Saul era un tipo affascinante, anche se c’era qualcosa in lui, non so dire cosa, che mi faceva paura.



2


Incontrai nuovamente Saul il giorno dell’uscita del libro. Venne a Bologna a ritirare le duecento copie che gli spettavano da contratto e io lo ospitai nel mio spartano trilocale di via Zamboni per un weekend. Ricordo con piacere quei giorni, ci divertimmo come poche volte mi sono divertito in compagnia di amici di vecchia data ben più collaudati. Girammo per i locali della zona universitaria a bere vino e a parlare, parlare, parlare. Di Saul si può criticare tutto, ma non si può dire che sia un interlocutore noioso. Qualsiasi argomento si discuta con lui, lo tratta con cognizione di causa e ironia, andando oltre i soliti clichès.
   “Invidio le donne” mi confidò davanti l’ennesimo Muller Thurgau in non ricordo più quale pub. “Le donne non hanno bisogno dell’arte come invece necessitiamo noi spiriti creativi maschili. Sono esseri completi, autosufficienti. L’arte è un’esigenza maschile. Che piccolo patetico essere è l’uomo rispetto la donna. Fa quasi tenerezza!”
   “Sarà perché la donna ha la facoltà di creare la vita. Cosa c’è di più appagante?” dissi.
   “Appunto. L’uomo fa arte per frustrazione, dal punto di vista strettamente creativo è impotente. Anche lo sperma è materia organica inservibile senza l’imprimatur della regina vagina. Decide sempre lei. Così l’uomo cerca una disperata e illusoria sublimazione arrabattandosi in qualche cosa che viene definita arte ma che in realtà non è nient’altro che rappresentazione della disperazione.”
   “Rappresentazione della disperazione?”
   “La disperazione per essere inutili, impotenti, incapaci. Creare la vita! Ci pensi Filippo? La donna è Dio, l’ho scritto anche in “Se”, ricordi?, un Dio talmente potente che può annichilire un uomo con il semplice uso della parola… Basta che una donna dica: “Sei proprio una schiappa a letto” e tu, uomo, sei già bello che fulminato!”
   Risi di gusto a quelle affermazioni, e mi sganasciai letteralmente quando un paio di calici più tardi mi confidò:
   “Scrivo per compiacere Dio, per farmi notare ai suoi occhi. Lo scrittore snob e un po’ ipocrita ti dirà che scrive per se stesso, o per un bisogno intimo dell’anima, o per altre puttanate simili. Stronzate! Si scrive per entrare nelle grazie di Dio, ovvero della Figa!”
   “Strano quello che dici” ribattei sempre ridendo. “Nel tuo libro risalta una palese misoginia.”
   “Per forza! Hai mai sentito uno schiavo parlare bene del negriero che lo tiene in catene?!”
   Su questa falsariga volarono letteralmente via quel venerdì, sabato e domenica. Prima di partire il lunedì mattina, alla stazione dei treni, Saul mi strinse la mano calorosamente e con quegli occhi furbi che sembravano farti i raggi x, mi disse:
   “Scusa Filippo se ti ho usato!”
   “Che vuoi dire?”
   “Sai… sono come una sanguisuga: mi servo delle persone per avere materiale su cui scrivere. Succhio esperienze, personalità, aneddoti, storie… “Uso” la gente per trovare ispirazione e quando non mi serve più la getto nel cestino!”
   Lo osservai salire sul treno e mi resi conto di essere rimasto a bocca aperta.
   “Ma non ti preoccupare. Te non ti cestino, reggi l’alcol meglio di me!” sentenziò prima che il portello del treno si chiudesse alle sue spalle.



3


Saul Bartezzaghi nasceva a Pisa nell’ottobre del 1970. A trentun anni ancora da compiere, nel 2001, divenne famoso per aver pubblicato con la Montanari il best seller “Sbronze road”, una raccolta di racconti di viaggio che vendette 300.000 copie in poche settimane.
   Dalla volta in cui venne a Bologna a stare da me qualche giorno quattro anni prima, non lo avevo più rivisto. Ci eravamo sentiti una mezza dozzina di volte per telefono e nulla più.
   “Filippo, la Montanari pubblicherà un mio libro! Te lo avevo detto che un giorno mi avrebbero pubblicato senza sborsare una cazzo di lira!” mi disse l’ultima volta che lo sentii per telefono.
   “Sono contentissimo per te Saul. Adesso anche la Cisco Ribelle brillerà di luce riflessa grazie a te. Potremo vantarci di aver pubblicato il primo romanzo del grande Bartezzaghi!”
   “Dai, non scherzare sempre…”
   “E chi scherza?! Non è mica da tutti farsi pubblicare dalla Montanari. Di cosa parla il romanzo?”
   “Non è un romanzo. E’ una raccolta di racconti tra l’autobiografico e l’inventato. Ce n’è uno ispiratomi dalle nostre scorribande notturne quando venni a Bologna. Ho persino chiamato Pippo il protagonista… Te lo dedico.”
   “Allora era vero quello che mi dicesti prima di partire col treno quella volta: che “usavi” le persone per creare storie e personaggi.”
   “Certo che era vero.”
   “Beh, non l’ho ancora letto ma sono lusingato.”
   “Sono io lusingato di averti conosciuto. Spero di rivederti presto.”
   Ci rivedemmo sì, ma in una situazione in cui avrei fatto volentieri a meno di trovarmi.



4


“Sbronze road” era un successo internazionale già nei primi mesi del 2002. Alla fine di quell’anno era stato tradotto in quindici lingue. A mio modesto parere però, ritengo “Se” superiore al best seller di Saul; non perché l’abbiamo pubblicato alla Cisco, semplicemente perché vi trovo più qualità, più stile, più genialate. E’ una storia surreale che ha come protagonista uno scienziato pazzo che all’inizio del secolo scorso crea e libera nell’aria un virus che rende sterile la popolazione mondiale maschile. Si aprono così scenari futuri grotteschi ed esilaranti, a partire dalla seconda guerra mondiale combattuta a colpi di briscola nelle osterie. Passando per una serie di trovate originalissime, si arriva all’apogeo finale:  nei primi anni del Duemila, l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della terra, accarezzando la testa pelosa di un grosso ratto, sussurra: “Guarda Asdrubale, finalmente tutto questo sarà tuo!”
   Buon libro o meno, Bartezzaghi si arricchì con “Sbronze road” e la sua carriera parve proiettata verso traguardi prestigiosissimi, ma nel 2003, in concomitanza con l’uscita del suo secondo libro edito dalla Montanari, annunciò il suo ritiro come scrittore ad una trasmissione radiofonica di RTL 102.5.
   “Ho chiuso con la letteratura” disse con voce calma ai microfoni dell’emittente. “E’ stata una divertente e stimolante parentesi della mia vita, ma scrivere non è vivere. “Ulcera” è il mio congedo e allo stesso tempo il manifesto della mia visione del mondo e dell’arte…”
   Visione indubbiamente controcorrente. “Ulcera” è un romanzo filosofico in cui il protagonista, un attempato scrittore spagnolo, solo scrivendo riesce a placare i dolori arrecatigli da una grave ulcera. Così facendo si addentra in riflessioni talvolta profonde, talvolta comiche, lasciando il lettore – una volta terminata la lettura – come in preda ai postumi di una sbornia.

E con questo vi dico addio,
ma non prima di aver lasciato in omaggio al mondo
un sentito VAFFANCULO!

   Così si conclude “Ulcera”. E dopo poche settimane dall’uscita, giusto il tempo di partecipare a qualche presentazione, Saul Bartezzaghi sparisce praticamente dalla circolazione. Quello che ha fatto in quei tre anni di “latitanza”, lo venni a sapere direttamente da lui il giorno che entrando nel mio trilocale di via Zamboni, me lo trovai di fronte, seduto sulla sponda del mio letto con uno sguardo mefistofelico agghiacciante.



5


Questa storia nasce da un’esperienza personale incredibile capitatami la sera di Natale del 2006.
   Anche se lavoro come editor in una piccola casa editrice, non ho mai avuto velleità letterarie, non credo di avere un effettivo talento per la scrittura benché il mio lavoro mi porti a leggere centinaia di manoscritti di sconosciuti e migliaia di libri di autori già affermati, quest’ultimo come hobby nonché come preparazione professionale. Non avevo mai pensato di scrivere un romanzo, e i pochi racconti che ho scritto in gioventù sono relegati in un cassetto della scrivania da anni. Non sono uno scrittore, ma se devo essere sincero non lo sono nemmeno il novanta percento degli autori che sognano di pubblicare un libro e che inviano tonnellate di carta (perché come prima analisi valutiamo solo materiale in formato cartaceo) alla Cisco Ribelle. Spesso è un lavoro massacrante rendere una storia leggibile, e se è vero che in Italia una persona su tre scrive (molto meno sono quelli che leggono!) è anche vero che nove su dieci di coloro che scrivono, non sanno scrivere.
   Allora perché mi sono messo io, Filippo Corona, scrittore mediocre e senza particolari ambizioni, a SCRIVERE UN LIBRO? Perché è stato il libro a decidere di farsi scrivere da me. E il messaggero “infernale” che si è presentato al mio cospetto per darmi l’illuminazione è stato proprio Saul Bartezzaghi.
   Il cenone della Vigilia e il pranzo di Natale li avevo trascorsi a Parma a casa di Barbara, la mia ragazza. Io, lei, suo padre, sua madre, il fratellino piccolo e la nonna avevamo passato piacevolmente e in allegria quelle ricorrenze. Prima di ripartire per Bologna mi ero intrattenuto nella camera da letto di Barbara che presto sarebbe diventata la nostra camera matrimoniale, dato che avevamo deciso di sposarci entro il 2007. Lei lavorava in centro a Parma come fotografa; vista la discreta libertà di orari che mi lasciava Giordano Fagioli alla Cisco Ribelle, una volta trasferitomi non avrei avuto problemi nel fare la spola sulla via Emilia.
   “Ti amo Babi, non vedo l’ora di sposarti, essere tuo marito e il padre dei nostri figli” furono le ultime parole che pronunciai prima di uscire, parole suggellate da un bacio appassionato.

   Non avrei mai immaginato di non tornare mai più in quella casa.

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