SIMONE MANSERVISI
LO STRANO CASO DI GASTRITE DEL SIG. BARTEZZAGHI
Dedicato a quel genio inespresso del Dottor M.
“Il dolore può essere terribile, ma non
è mai insopportabile. Quando lo è veramente, non lo sentiamo più.”
Sàndor Màrai (LA SORELLA )
NOTA DELL’(EX)
EDITORE
Quando il manoscritto di Filippo
Corona è arrivato sulla mia scrivania, l’Editrice Cisco Ribelle stava ormai
chiudendo i battenti.
Con Filippo non sono più in contatto da tempo e non ho mai discusso con
lui le pagine che seguono; i fatti descritti corrispondono effettivamente alla
realtà, ma nel momento in cui scrivo nessuna indagine è stata ancora avviata
nei confronti del celebre scrittore Saul Bartezzaghi.
Credo che Pippo sia stato molto in gamba a intrecciare fatti di cronaca
con la sua fervida immaginazione, ma potrei anche sbagliarmi. Comunque, che si
tratti di realtà o fantasia, faccio i migliori auguri a Filippo e a questo
libro “malato”.
Giordano Fagioli
1
Conobbi Saul Bartezzaghi quando
ancora era uno scrittore esordiente in cerca di pubblicazione. Nel 1997 giunse
all’ Editrice Cisco Ribelle il dattiloscritto intitolato “Se”, firmato S.B. Il
boss della casa editrice dove lavoro come editor, dopo avergli dato una scorsa
veloce, mi passò il voluminoso plico.
“Vedi un po’ cosa te ne pare, a me sembra che con un piccolo intervento
di editing, si possa tranquillamente pubblicare” mi disse.
In effetti non c’era molto da correggere, l’opera era ben scritta e la
trama spassosa e coinvolgente filava via liscia. Dissi a Giordano Fagioli, il
boss, che se voleva proporre un contratto a Bartezzaghi (e lui avesse
accettato) non ci sarebbe voluto molto per la correzione delle bozze.
Come detto fui io a controllare e ricontrollare i trentadue capitoli che
componevano l’opera prima di Bartezzaghi. Corressi qualche errore grammaticale,
qualche svista, aggiustai appena la sintassi di qualche periodo, interpolai ed
espunsi il minimo indispensabile. E Saul fu contento del mio lavoro, me lo
disse quando ci incontrammo la volta che venne a Bologna alla Cisco Ribelle.
Era arrivato da Pisa, dove abitava, a visionare le varie opzioni per la
copertina. Avemmo modo di conoscerci passando un intero pomeriggio in ufficio e
la sera in pizzeria con il boss. Fagioli rimase con noi giusto il tempo di
finire la sua quattro stagioni poi disse di avere un impegno e se ne andò. Fu nella
seguente ora e mezzo – in cui rimanemmo a tavola a bere limoncello a cascate –
che una sorta di empatia si sviluppò tra me e Saul.
“Sai Filippo, mi piace la vostra casa editrice, mi sembrate gente
onesta. Pensa che nel ’92 spesi ben nove milioni di lire per pubblicare un
volumetto di poesie di cinquanta pagine!”
“E chi erano questi ladri?”
“L’Editore Nuovo Autore di Milano! Allora non conoscevo questo mondo,
ero un giovane ingenuo che voleva veder pubblicati i suoi versi ad ogni costo.
Incappai nella Nuovo Autore, venni blandito furbescamente e caddi nella
trappola…”
“Lo so, ci sono editori truffaldini, bisogna stare attenti.”
“Comunque ricordati queste parole caro Pippo: ora pago per pubblicare,
ma arriverà il giorno in cui non dovrò sborsare una lira, anzi, mi pagheranno
per scrivere qualcosa!”
Quel giorno arrivò quattro anni dopo con “Sbronze road”. Intanto quella
sera posso dire che diventammo amici; Saul era un tipo affascinante, anche se
c’era qualcosa in lui, non so dire cosa, che mi faceva paura.
2
Incontrai nuovamente Saul il
giorno dell’uscita del libro. Venne a Bologna a ritirare le duecento copie che
gli spettavano da contratto e io lo ospitai nel mio spartano trilocale di via
Zamboni per un weekend. Ricordo con piacere quei giorni, ci divertimmo come
poche volte mi sono divertito in compagnia di amici di vecchia data ben più
collaudati. Girammo per i locali della zona universitaria a bere vino e a
parlare, parlare, parlare. Di Saul si può criticare tutto, ma non si può dire
che sia un interlocutore noioso. Qualsiasi argomento si discuta con lui, lo
tratta con cognizione di causa e ironia, andando oltre i soliti clichès.
“Invidio le donne” mi confidò davanti l’ennesimo Muller Thurgau in non
ricordo più quale pub. “Le donne non hanno bisogno
dell’arte come invece necessitiamo noi spiriti creativi maschili. Sono esseri
completi, autosufficienti. L’arte è un’esigenza maschile. Che piccolo patetico essere è l’uomo rispetto la donna.
Fa quasi tenerezza!”
“Sarà perché la donna ha la facoltà di creare la vita. Cosa c’è di più
appagante?” dissi.
“Appunto. L’uomo fa arte per frustrazione, dal punto di vista
strettamente creativo è impotente. Anche lo sperma è materia organica
inservibile senza l’imprimatur della
regina vagina. Decide sempre lei. Così l’uomo cerca una disperata e illusoria
sublimazione arrabattandosi in qualche cosa che viene definita arte ma che in
realtà non è nient’altro che rappresentazione della disperazione.”
“Rappresentazione della disperazione?”
“La disperazione per essere inutili, impotenti, incapaci. Creare la
vita! Ci pensi Filippo? La donna è Dio, l’ho scritto anche in “Se”, ricordi?,
un Dio talmente potente che può annichilire un uomo con il semplice uso della
parola… Basta che una donna dica: “Sei proprio una schiappa a letto” e tu,
uomo, sei già bello che fulminato!”
Risi di gusto a quelle affermazioni, e mi sganasciai letteralmente
quando un paio di calici più tardi mi confidò:
“Scrivo per compiacere Dio, per farmi notare ai suoi occhi. Lo scrittore
snob e un po’ ipocrita ti dirà che scrive per se stesso, o per un bisogno
intimo dell’anima, o per altre puttanate simili. Stronzate! Si scrive per
entrare nelle grazie di Dio, ovvero della Figa!”
“Strano quello che dici” ribattei sempre ridendo. “Nel tuo libro risalta
una palese misoginia.”
“Per forza! Hai mai sentito uno schiavo parlare bene del negriero che lo
tiene in catene?!”
Su questa falsariga volarono letteralmente via quel venerdì, sabato e
domenica. Prima di partire il lunedì mattina, alla stazione dei treni, Saul mi
strinse la mano calorosamente e con quegli occhi furbi che sembravano farti i
raggi x, mi disse:
“Scusa Filippo se ti ho usato!”
“Che vuoi dire?”
“Sai… sono come una sanguisuga: mi servo delle persone per avere materiale su cui scrivere. Succhio
esperienze, personalità, aneddoti, storie… “Uso” la gente per trovare
ispirazione e quando non mi serve più la getto nel cestino!”
Lo osservai salire sul treno e mi resi conto di essere rimasto a bocca
aperta.
“Ma non ti preoccupare. Te non ti cestino, reggi l’alcol meglio di me!”
sentenziò prima che il portello del treno si chiudesse alle sue spalle.
3
Saul Bartezzaghi nasceva a Pisa
nell’ottobre del 1970. A
trentun anni ancora da compiere, nel 2001, divenne famoso per aver pubblicato
con la Montanari
il best seller “Sbronze road”, una raccolta di racconti di viaggio che vendette
300.000 copie in poche settimane.
Dalla volta in cui venne a Bologna a stare da me qualche giorno quattro
anni prima, non lo avevo più rivisto. Ci eravamo sentiti una mezza dozzina di
volte per telefono e nulla più.
“Filippo, la
Montanari pubblicherà un mio libro! Te lo avevo detto che un
giorno mi avrebbero pubblicato senza sborsare una cazzo di lira!” mi disse
l’ultima volta che lo sentii per telefono.
“Sono contentissimo per te Saul. Adesso anche la Cisco Ribelle brillerà di luce
riflessa grazie a te. Potremo vantarci di aver pubblicato il primo romanzo del
grande Bartezzaghi!”
“Dai, non scherzare sempre…”
“E chi scherza?! Non è mica da tutti farsi pubblicare dalla Montanari.
Di cosa parla il romanzo?”
“Non è un romanzo. E’ una raccolta di racconti tra l’autobiografico e
l’inventato. Ce n’è uno ispiratomi dalle nostre scorribande notturne quando
venni a Bologna. Ho persino chiamato Pippo il protagonista… Te lo dedico.”
“Allora era vero quello che mi dicesti prima di partire col treno quella
volta: che “usavi” le persone per creare storie e personaggi.”
“Certo che era vero.”
“Beh, non l’ho ancora letto ma sono lusingato.”
“Sono io lusingato di averti conosciuto. Spero di rivederti presto.”
Ci rivedemmo sì, ma in una situazione in cui avrei fatto volentieri a
meno di trovarmi.
4
“Sbronze road” era un successo
internazionale già nei primi mesi del 2002. Alla fine di quell’anno era stato
tradotto in quindici lingue. A mio modesto parere però, ritengo “Se” superiore
al best seller di Saul; non perché l’abbiamo pubblicato alla Cisco,
semplicemente perché vi trovo più qualità, più stile, più genialate. E’ una storia surreale che ha come protagonista uno
scienziato pazzo che all’inizio del secolo scorso crea e libera nell’aria un
virus che rende sterile la popolazione mondiale maschile. Si aprono così scenari
futuri grotteschi ed esilaranti, a partire dalla seconda guerra mondiale
combattuta a colpi di briscola nelle osterie. Passando per una serie di trovate
originalissime, si arriva all’apogeo finale:
nei primi anni del Duemila, l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della
terra, accarezzando la testa pelosa di un grosso ratto, sussurra: “Guarda
Asdrubale, finalmente tutto questo sarà tuo!”
Buon libro o meno, Bartezzaghi si arricchì con “Sbronze road” e la sua
carriera parve proiettata verso traguardi prestigiosissimi, ma nel 2003, in concomitanza con
l’uscita del suo secondo libro edito dalla Montanari, annunciò il suo ritiro
come scrittore ad una trasmissione radiofonica di RTL 102.5.
“Ho chiuso con la letteratura” disse con voce calma ai microfoni dell’emittente.
“E’ stata una divertente e stimolante parentesi della mia vita, ma scrivere non
è vivere. “Ulcera” è il mio congedo e allo stesso tempo il manifesto della mia
visione del mondo e dell’arte…”
Visione indubbiamente controcorrente. “Ulcera” è un romanzo filosofico
in cui il protagonista, un attempato scrittore spagnolo, solo scrivendo riesce
a placare i dolori arrecatigli da una grave ulcera. Così facendo si addentra in
riflessioni talvolta profonde, talvolta comiche, lasciando il lettore – una
volta terminata la lettura – come in preda ai postumi di una sbornia.
E con questo vi dico addio,
ma non prima di aver lasciato in omaggio al mondo
un sentito VAFFANCULO!
Così si conclude “Ulcera”. E dopo poche settimane dall’uscita, giusto il
tempo di partecipare a qualche presentazione, Saul Bartezzaghi sparisce
praticamente dalla circolazione. Quello che ha fatto in quei tre anni di
“latitanza”, lo venni a sapere direttamente da lui il giorno che entrando nel
mio trilocale di via Zamboni, me lo trovai di fronte, seduto sulla sponda del
mio letto con uno sguardo mefistofelico agghiacciante.
5
Questa storia nasce da
un’esperienza personale incredibile capitatami la sera di Natale del 2006.
Anche se lavoro come editor in una piccola casa editrice, non ho mai
avuto velleità letterarie, non credo di avere un effettivo talento per la
scrittura benché il mio lavoro mi porti a leggere centinaia di manoscritti di
sconosciuti e migliaia di libri di autori già affermati, quest’ultimo come
hobby nonché come preparazione professionale. Non avevo mai pensato di scrivere
un romanzo, e i pochi racconti che ho scritto in gioventù sono relegati in un
cassetto della scrivania da anni. Non sono uno scrittore, ma se devo essere
sincero non lo sono nemmeno il novanta percento degli autori che sognano di
pubblicare un libro e che inviano tonnellate di carta (perché come prima
analisi valutiamo solo materiale in formato cartaceo) alla Cisco Ribelle.
Spesso è un lavoro massacrante rendere una storia leggibile, e se è vero che in
Italia una persona su tre scrive (molto meno sono quelli che leggono!) è anche
vero che nove su dieci di coloro che scrivono, non sanno scrivere.
Allora perché mi sono messo io, Filippo Corona, scrittore mediocre e
senza particolari ambizioni, a SCRIVERE UN LIBRO? Perché è stato il libro a
decidere di farsi scrivere da me. E il messaggero “infernale” che si è
presentato al mio cospetto per darmi l’illuminazione è stato proprio Saul
Bartezzaghi.
Il cenone della Vigilia e il pranzo di Natale li avevo trascorsi a Parma
a casa di Barbara, la mia ragazza. Io, lei, suo padre, sua madre, il fratellino
piccolo e la nonna avevamo passato piacevolmente e in allegria quelle
ricorrenze. Prima di ripartire per Bologna mi ero intrattenuto nella camera da
letto di Barbara che presto sarebbe diventata la nostra camera matrimoniale,
dato che avevamo deciso di sposarci entro il 2007. Lei lavorava in centro a
Parma come fotografa; vista la discreta libertà di orari che mi lasciava
Giordano Fagioli alla Cisco Ribelle, una volta trasferitomi non avrei avuto
problemi nel fare la spola sulla via Emilia.
“Ti amo Babi, non vedo l’ora di sposarti, essere tuo marito e il padre
dei nostri figli” furono le ultime parole che pronunciai prima di uscire, parole
suggellate da un bacio appassionato.
Non avrei mai immaginato di non tornare mai più in quella casa.
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