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“Mi svegliai una notte in preda a
dolori di stomaco lancinanti” mi disse. “Presi una pastiglia di Maalox e tornai
a letto, ma il fastidio non si placava; stetti tutta la notte a contorcermi
sotto le lenzuola. Mi venne in mente il mio ultimo libro… Nonostante il male
sorridevo al pensiero che era stato appena pubblicato “Ulcera”, dove il
protagonista doveva scrivere per
attenuare i dolori di stomaco. In quel momento per me scrivere era l’ultima
cosa a cui potevo pensare.
“Il giorno seguente gli spasimi
parvero aumentare. Mi recai dal mio medico di base il quale mi prescrisse
Antepsin e Motilex per due settimane, ma non ebbero alcun effetto e alla fine
della cura stavo peggio di quando l’avevo iniziata. Così prenotai una visita da
uno specialista. “Caro Bartezzaghi” mi disse il gastroenterologo dopo la prima
visita, “sembrerebbe trattarsi di una gastrite, ma lo sapremo con certezza dopo
aver fatto un’ecografia ed eventualmente una gastroscopia. Vede, gastrite è un
termine generale che comprende numerosi disordini causati da vari eventi lesivi
a carico della mucosa dello stomaco. Può essere localizzata in un’area
ristretta o interessare tutto lo stomaco. Nel suo caso pare si sia presentata
in forma di attacco acuto. Eccede per caso in cibo e alcolici?” Gli risposi che
sì, ero sovente fare abuso di alcolici. “Bene” disse, “cominciamo con
l’eliminare l’alcol: vedrà che con una semplice dieta associata a medicinali
specifici, si sistemerà tutto.” Feci l’ecografia da cui non risultò niente di
grave, seguii i consigli alimentari ed eliminai l’alcol, presi correttamente i
farmaci che mi prescrisse il professore… Niente! Nessun miglioramento: il
dolore diventava sempre più atroce. Feci la gastroscopia, e anche da quella non
risultò niente di preoccupante. Ma io stavo sempre peggio.
“Quando l’infiammazione era
iniziata, era localizzata nella parte superiore sinistra dell’addome, e come
spesso accade nelle gastriti, il dolore – che definirei una sensazione di
bruciore – si acutizzava lontano dai pasti. Dopo più di un mese di cure era
tutto lo stomaco a… bruciare… pulsare… contorcersi… non saprei neanche definire
quel dolore, a digiuno o a stomaco pieno. “E’ una gastrite molto subdola”
sentenziò poco convinto il gastroenterologo dopo la quarta o quinta visita.
Cambieremo cura farmacologia; lei intanto continui a seguire la dieta e a non bere
alcolici.”
“A inizio ottobre stavo ancora
molto male. Iniziavo a sospettare che se di gastrite si trattava, non era
originata da un regime alimentare disordinato. Mi ero quasi convinto si
trattasse di un malessere di natura nervosa. La notte del 3 ottobre mi misi a
letto pronto per un’altra nottataccia da incubo, quando ad un certo punto il
mio stomaco parlò!”
12
Saul mi spiegò che inizialmente
pensava fosse un’allucinazione causata dal dolore o dalle troppe notti insonni;
non ci mise molto a rendersi conto della realtà della situazione.
“Per tutta la vita hai preso bastonate di varia natura e intensità senza
mai reagire, tenendoti tutto dentro” gli stava dicendo quella voce. “Io sono il
risultato dell’accumulo di traumi interori ed esteriori che hai subito. Li hai
somatizzati ed ora eccomi qua!”
Il famoso scrittore si era messo a sedere sul letto esterrefatto mentre
osservava il proprio ventre. La voce continuò:
“Oh povero Saul, com’è timido, fa
quasi tenerezza! dicevano quando eri piccolo. Oh com’è buono, gentile e sempre educato Saul! quasi si
meravigliavano quando eri più grandicello. Oh
che persona perbene Saul! si complimentavano quando diventasti adulto. Da
bambino prendevi botte da tuo padre in silenzio e a scuola non reagivi ai
soprusi dei bulli, alle prese in giro dei compagni e agli sberleffi di certi
professori. Quando l’estate lavoravi raccogliendo la frutta in campagna e
successivamente quando hai lavorato all’estero, approfittavano di te perché non
ti lamentavi mai. Avevi una sensibilità più unica che rara e ogni aggressione
era un colpo terribile. Piano piano il rancore, la frustrazione, la sana rabbia che ogni essere umano ha
dentro, si sono ammassati dentro di te senza trovare vie d’uscita. Lo
stillicidio di ingiustizie – comprese quelle che vedevi nel mondo intero – ha
fatto traboccare il vaso…”
Saul provò a parlare, ma non ci riusciva. Allora continuò ad ascoltare
incredulo il suo stomaco.
“…Ti rendi conto che fino ad ora la tua ancora di salvezza è stata la
scrittura? Se non ci fosse stata, quale valvola di sfogo avresti avuto? Il
sesso? Il cibo? L’alcol? Le droghe? Tutta roba effimera Saul, tutta roba
effimera! Non sarebbe servito a nulla. L’arte no che non è effimera, ma ormai
hai superato il punto di non ritorno e non puoi più liberarti di me con l’arte,
come hai fatto fare al protagonista del tuo recente “Ulcera”. Troppo dolore da
diluire sulle pagine immacolate: non puoi farcela!”
Scese dal letto, accese la luce della camera dell’appartamento di Pisa
dove viveva e iniziò a camminare avanti e indietro, come in trance.
“Pensavi di esserti liberato del marciume scrivendo e viaggiando?
Maturando ed evolvendoti? Sognando e creando? Hai fatto male i conti allora. La
parte infetta della tua anima, quella che la tua natura fragile ha arginato a
fatica col tempo, è ancora qui. Lo capisci? Capisci che sono il latore di un
messaggio? Riesci a interpretare il segnale? Gastrite! C’è solo un modo ormai
per attenuare il fastidio della gastrite: devi vendicarti del male che ti hanno
fatto. Lo so cosa pensi. Che la vendetta non serve a niente, anzi, fa entrare
in una spirale di odio sempre più vorticosa… Vero! Ma il tempo dell’ Amore che
può salvare gli individui e il mondo è bello che finito. Non te ne accorgi? La FINE del mondo è vicina
perché l’uomo si è fatto sopraffare dal Male… L’uomo è egoista, cinico,
cattivo, stupido, avido, insensibile, minuscolo… Se davvero sei rimasto uno dei
pochi uomini che sanno di non sapere, non
esimerti dal ruolo di vendicatore, di angelo della morte. Solo dopo la morte
può rinascere la vita, una vita migliore. Tanta gente su questo misero orbe
terracqueo merita solo di morire, quindi… uccidi! Vedrai come ci prenderai
gusto. Uccidi, o io ti ucciderò trasformandomi in cancro!”
Improvvisamente, come aveva cominciato, la voce tacque. Saul andò in
bagno a guardarsi allo specchio. Aveva un aspetto terribile. Pensò che tra due
giorni avrebbe avuto un intervento radiofonico a RTL 102.5: quale occasione
migliore per annunciare il suo ritiro... La decisione era irrevocabile.
“Basta scrivere” si disse. “E’ tempo di uccidere.”
13
Erano circa le 22. Quasi tre ore
erano trascorse dall’inaspettato incontro con Saul. Ormai lo shock si era
trasformato in uno stato di semincoscienza: ascoltavo il suo racconto –
intervallato da digressioni sull’attualità, veri e propri voli pindarici se si
considera il contesto di orrore in cui eravamo proiettati – come fossi in un
ambiente onirico. Mi destai da quella condizione e lo interruppi:
“Scusa Saul, ma devo telefonare a Barbara, la mia ragazza. Le avevo
promesso che lo avrei fatto appena fossi arrivato a casa e ormai sono a casa da
un po’…”
“Ok, però non dire che sono qua. Non sono ricercato, ma voglio che
questo tète-à-tète rimanga fra noi.”
“Va bene, come vuoi.”
Presi il cellulare dalla tasca della giacca che indossavo e chiamai
Barbara. Mi scusai per non avere chiamato prima inventando una scusa banale e
prima di riagganciare le dissi che la amavo.
“Anch’io!” disse Saul.
“Come?”
“Sicuramente ti avrà risposto “anch’io!””
“Sì, perché?”
“Lascia perdere e ascoltami…”
“Senti Saul!” lo interruppi bruscamente alzandomi in piedi. “Io potrei
anche non aver voglia di ascoltare cos’hai combinato in questi anni.
Sinceramente sono scioccato per quello che hai fatto e ho paura di sentire
cos’hai ancora da dire. Mi fai paura tu! Non capisco cosa vuoi da me. Potrei
andare alla polizia e spifferare di questa conversazione assurda. Potrei
metterti nei casini…”
“Ma non lo farai!”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Primo, sai che devi ascoltarmi perché senti che è troppo importante quello che
ti dirò. Secondo…” e qui tirò fuori da sotto il cuscino, dove lo aveva nascosto
precedentemente, un vecchio revolver “… questo sembra un buon deterrente per
non farti fare stupidaggini di cui potresti pentirti. Probabilmente contro di
te non lo userei neanche se cercassi di chiamare la polizia, ma meglio non
sfidare la sorte visto che hai davanti un pazzo omicida. Non credi?!”
“Già!” sospirai.
Mi rimisi a sedere e ripiombai in quello stato indefinibile in bilico
tra curiosità morbosa e paura anestetizzata.
“Perché non mi hanno mai preso?” proseguì. “Forse fortuna, elemento
fondamentale nella vita di ogni singolo uomo. O forse sono stato scaltro
nell’agire. Non saprei: io pensavo solo a sfamare
la mia gastrite con il sacrificio umano per ingraziarmela e non essere
tormentato dalla sua ira. Non premeditavo granché quando andavo ad ammazzare.
Ho ucciso diverse persone che prese insieme si collegavano facilmente a me; se
ci pensi, anche il più stupido dei detective sarebbe arrivato quantomeno a
sospettarmi, ma non sono stato indagato finora. Difficile da spiegarsi. Può
darsi che la fama mi abbia un po’ fatto da scudo, o magari il Male, padrone del
mondo, mi ha protetto… E’ come se mi fossi affiliato alla sua potentissima
setta e godessi di una sorta di immunità che mi consente di agire
indisturbato.”
“Hai mai rischiato di farti beccare?” chiesi.
“No, però quando uccisi la seconda volta, per poco non mi beccò la
vittima con un colpo di fucile.”
14
La seconda vittima di Saul si
chiamava Furio Alfieri ed era il padre padrone dell’Editore Nuovo Autore di
Milano.
“La gastrite era magicamente guarita dopo aver ucciso Bartok.” disse.
“Sembrava incredibile poter stare nuovamente bene, dormire la notte, mangiare e
bere senza timore di gonfiori, bruciori, gorgoglii, fitte. La pace però durò
appena un mese…”
“Scusa se ti interrompo, non ho capito una cosa: era la voce a ordinarti
di uccidere?”
“No, la voce la sentii per la prima e unica volta quella notte
maledetta. Era la gastrite silente che, esplodendo d’improvviso, annunciava che
era ora di tornare alla vendetta.
“Come ti stavo dicendo, dopo un
mese dal primo omicidio, dalle profondità del mio stomaco arrivò la chiamata…
Andai a trovare Alfieri nella sua villetta di Segrate, nell’interland milanese.
Sapeva chi ero anche se non si ricordava del mio libretto di poesie che aveva
pubblicato la sua casa editrice nel ’92. Mi invitò a sedere nel salotto
pregustando forse la possibilità di pubblicare qualcosa di mio, del famoso
Bartezzaghi.”
“Era solo in casa?”
“Purtroppo c’era la moglie. Dovetti eliminare anche lei!”
Ci fu un istante di silenzio, durante il quale Saul ripassò la scena quasi
fosse un regista in cerca di quella piccolezza che sfugge, ma che si sa che
c’è, che disturba, pur non vedendosi chiaramente.
“Dopo qualche minuto di conversazione” riprese, “dove quel verme
leccaculo mi disse che avrebbe pubblicato (ovviamente gratuitamente) qualsiasi
cosa gli avessi consegnato, valutati i rischi, estrassi dalla cintura questo
stesso revolver e gli sparai due colpi a bruciapelo. Alfieri cadde supino sul
tappeto persiano. Subito mi precipitai dalla moglie che ci stava preparando un
caffé in cucina. “Mi dispiace” le dissi prima di centrarla in fronte con una
palla di piombo. Stetti qualche istante a contemplare il suo corpo senza vita,
mentre riflettevo che noi uomini siamo come tessere di un puzzle: ci
incastriamo l’un l’altro solo se siamo compatibili, se ci assomigliamo. Quindi
quella donna era tutt’uno con il marito, così conclusi, e il senso di colpa
sparì.”
Altra breve pausa, subito interrotta dal prosieguo.
“Tornai in salotto e vidi che il corpo di Furio Alfieri era sparito.
Ebbi appena il tempo di alzare lo sguardo al mobiletto che avevo notato appena
entrato, quello che conteneva i fucili da caccia, che un colpo partì. Lo sentii
passare a un millimetro dal mio orecchio sinistro. Istintivamente sparai senza
prendere la mira e colpii al cuore il vecchio editore.”
Di Furio Alfieri non ricordavo la morte. A volte i giornali e i
telegiornali decidono di dare risalto o meno a una notizia a seconda
dell’inchiostro e dei metri di pellicola che hanno da spendere. Se c’è calma
piatta in giro, anche la morte di un cane colpito da un fulmine diventa notizia
da prima pagina. Evidentemente quella volta c’era in giro qualche dramma più
succulento per i media…
Saul comunque era stato abile - dopo aver fatto scempio del cadavere di
Alfieri - a declassare l’evento da “caso Franzoni” (citando l’omicidio del
bambino di Cogne) a “caso Chissenefrega”, mediaticamente parlando. Aveva
infatti appiccato il fuoco alla villatta, la quale era esplosa occultando le
prove di un omicidio terrificante che avrebbe tenuto milioni di italiani
incollati al teleschermo e alle pagine di giornale.
Assicuratosi della morte di Alfieri, gli aveva infilato un cappio al
collo e aveva issato il corpo a una trave. Gli aveva piantato in testa un
centinaio tra biro e matite che la vittima teneva nel portamatite del suo
studio, tanto che, visto da lontano, sembrava indossare una grottesca parrucca
da pagliaccio. Con un coltello trovato in cucina gli aveva squartato la pancia
e con fegato, reni, intestino e interiora varie aveva modellato sul pavimento
quella che sembrava una scultura di De Chirico. La moglie non la toccò.
“Vuoi vedere le foto?”
“Hai fatto delle foto?”
“Certo! Non potevo permettere che il fuoco cancellasse una simile opera
d’arte…”
Dal tascone centrale della felpa che indossava tirò fuori una busta
contenente un blocchetto di fotografie tenute insieme da un elastico. Mi passò
la prima. La guardai e subito vomitai nel cestino per la carta che avevo di
fianco.
15
Le braci riposavano sotto la
cenere da cinque mesi ormai, quando una sera, mentre stava guardando alla tv
una puntata di “Porta a Porta” che parlava di rapporti tra calciatori e veline,
Saul ebbe un attacco feroce, tra i più dolorosi. Si trovava in un hotel di Roma
dove stava trascorrendo alcuni giorni in visita alla città.
“E adesso?!” si disse. “Chi cazzo ammazzo?”
Si stese sul letto e cercò di pensare.
Il giorno dopo era a Cascina, un comune in provincia di Pisa. Lì aveva la
residenza un ex dentista in pensione che era stato assessore alla cultura del
comune di Pisa nel 1998, anno in cui Saul gli aveva telefonato per chiedere se
fosse stato possibile presentare “Se” nell’ambito della rassegna letteraria
“Incontri sotto la Torre ”,
manifestazione culturale che si svolgeva ogni estate nel suggestivo scenario di
Campo dei Miracoli. Oreste Fini – l’assessore – gli aveva risposto che prima
avrebbe dato un’occhiata a “Se”, poi gli avrebbe fatto sapere…
Saul richiamò tempo dopo cercando di sollecitare l’assessore, visto che
l’estate stava terminando e con essa la rassegna. Questa volta Oreste Fini
rispose poco educatamente che non aveva avuto tempo di leggere “Se”, ma poco
importava, perché non gli interessava proporre un autore sconosciuto che
avrebbe portato in piazza sì e no una cinquantina di persone. Saul riagganciò
mortificato.
La testa di Oreste Fini era infilata per una narice all’antenna della
sua BMW, parcheggiata nel garage di casa. I denti gli erano stati estratti uno
a uno con certosina pazienza e disposti sul cofano della macchina a formare un
cuore. Il corpo era all’interno dell’abitacolo con la cintura allacciata e le
mani sul volante. Al posto della testa mozzata era attaccata quella di Pimpi,
l’amico di Winnie the Pooh, un peluche gigante che Fini avrebbe dovuto regalare
alla sua nipotina.
Mi passò la foto. Questa volta non vomitai, ma ebbi un conato di vomito
che rimandai indietro attaccandomi alla seconda bottiglia di Pinot grigio.
Anche in questo caso le tracce dell’opera dell’assassino vennero
cancellate. Saul tagliò in vari pezzi il corpo dell’ex dentista, li mise in
alcuni sacchetti neri della spazzatura e sotterrò tutto nel mezzo di una pineta
a Tirrenia, sul litorale pisano.
La foto successiva mostrava un’altra macabra “creazione”, corredata
dalla divertita telecronaca del suo autore:
“Un pomeriggio dell’agosto 2004, verso sera, stavo leggendo un libro su
una panchina di un parchetto di Follonica: “Il giardino dei Finzi-Contini” per
la precisione, quando a pochi metri da me una madre cominciò a picchiare
selvaggiamente la figlioletta di nemmeno tre anni, credo perché aveva
inavvertitamente fatto cadere il gelato appena comprato. Cercai di dirle
qualcosa ma questa invasata mi rispose di farmi gli affari miei, che a educare
sua figlia ci pensava lei. La gastrite mi aggredì!”
Elisa Cicilli abitava a un centinaio di metri dal parchetto. Saul la
seguì a casa e quando fu entrata suonò alla porta…
Quelle tre foto – a differenza degli altri omicidi ne aveva con sé più
di una – erano non meno raccapriccianti di quelle che già mi aveva mostrato. La
donna era nuda, adagiata nella vasca da bagno con un asciugamano avvolto a mo’
di turbante in testa: la postura imitava quella del “Marat assassinato”, il dipinto
di Jacques-Louis David. Nella mano destra stringeva un biberon riempito col suo
stesso sangue; in quella sinistra un foglio su cui l’assassino aveva disegnato
col sangue tanti piccoli omini in stile Keith Haring. I capezzoli erano stati
tagliati e la vagina squartata con un coltello da cucina.
Quando il marito rientrò in casa, prima di trovarsi di fronte la scena
orripilante del bagno, trovò la figlioletta che dormiva come un angioletto nel
suo lettino.
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