martedì 6 gennaio 2015

Capitoli da 21 a 25.

21


Non so come si sentisse Saul, ma io ero abbastanza ubriaco. Mezzanotte era da poco passata e tra vino, birra e whisky, di litri di alcol ne avevamo ingollati parecchi.
   “Se vuoi continuiamo domani” mi disse Saul vedendo che accusavo il colpo.
    “Hei amico, io domani ho da fare. Dopodomani vado a Parigi con la mia Babi a trascorrere the last day of the year… Oh yeah!”
   Non mi dispiaceva affatto aver raggiunto quel livello di alterazione alcolica, mi rilassava e mi aiutava a sopportare quella situazione pazzesca.
   “Vuoi dire quella gran troia della tua Babi!?”
   Credetti di aver capito male.
   “Come dici scusa?”
   “Babi… quella gran troia!”
   E’ incredibile la forza delle parole. Arrivano addirittura dove la scienza, la medicina, la materia non può arrivare. In questo caso fecero magicamente scomparire l’ebbrezza in un batter di ciglia.
   “Come ti permetti?”
   “Guarda qua!”
   Mi mostrò una decina di fotografie che ritraevano Barbara insieme al mio amico Alberto in giro per Parma, abbracciati. In un paio si baciavano come due innamorati appassionati.
   “E queste chi cazzo te le ha date?”
   “Mie! Fatte da me con la mia super professionale Nikon F-301. E sviluppate come tutte le atre nel mio bagno trasformato in camera oscura.”
   Come farebbe a questo punto uno scrittore a descrivere le sensazioni che provai in quel momento? Credo che farebbe molta fatica anche un George Orwell o un Dino Buzzati, tanto per citare due dei miei autori preferiti. Già prima di quelle foto il quadro era assurdo, adesso si arrivava al limite della tollerabilità umana, superata la quale la sanità mentale vacilla. Rischiavo un crollo emotivo. Girai e rigirai tra le dite le foto per un tempo interminabile, in silenzio.
   “Quando le hai scattate?”
   “Dieci giorni fa circa.”
   “Perché?”
   “Capita. Forse tra te e Barbara non c’era più…”
   “No! Voglio sapere perché le hai scattate!”
   “Studio Filippo! La mia vita è una continua ricerca, un complesso studio delle emozioni e delle reazioni umane. Ricordi ancora quando dicevo che usavo le persone per trovare ispirazione?”
   “Vaffanculo! A che cazzo ti serve l’ispirazione se non scrivi neanche più!?”
   “Non è per me l‘ispirazione. E’ per te!”
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!
E’ PER TE!


Per poco non persi i sensi. Stordito e stremato mi alzai e mi diressi verso la porta dell’ingresso, aspettandomi di essere richiamato, bloccato, o persino sparato, invece Saul mi lasciò andare.
   “Ti aspetto qui, non fare tardi” urlò dalla camera prima che uscissi.



22


Qui sorge un dilemma. Tagliare o non tagliare? Scrivere o non scrivere quello che ho fatto una volta uscito dal mio appartamento di via Zamboni? E’ importante ai fini dell’intreccio? Giunto a questo punto, è probabile che il lettore voglia SAPERE, ma facciamo un esperimento: diamo fiducia alle sue capacità immaginative. Lo stesso Saul, in un’intervista rilasciata a un giornalista di “Repubblica”, riferendosi a vari racconti inseriti in “Sbronze road”, diceva: “Ho fatto largo uso di ellissi perché credo sia uno stimolo per il lettore; gli permette di immaginare, di attivare ulteriormente la fantasia.”
   Ecco qui la mia ellissi, dunque. Qualcuno penserà che sia una scusa per non riferire un fatto personale estremamente doloroso. Qualcun altro sospetterà fossi troppo ubriaco per ricordare e quindi riferire cosa accadde. Tutto può essere. Resta il fatto che su questa pagina adotto l’”effetto dissolvenza”… Lascio però due o tre tracce: A) Mi recai immediatamente a casa di Alberto (C’era? Non c’era? Fate voi!); B) Telefonai a Barbara (Fu una telefonata lunga?); C) …



23


Verso le tre di mattina tornai a casa ubriaco fradicio (Qualcuno di voi ha immaginato bene!). Quasi non ricordavo di avere un ospite. Stava cucinando della carne che conservavo in freezer dentro una padella.
   “Forse è meglio se metti sotto i denti qualcosa: assorbirà un po’ di tutto quell’alcol che hai mandato giù” disse senza alzare lo sguardo dai fornelli.
   “Vaffanculo maniaco omicida di merda! Non voglio niente preparato dalle tue mani grondanti sangue” ribattei ferocemente, ma subito sedetti al tavolo del cucinotto.
   “Non ti fa venire l’acquolina questo profumino? Su, mangia! E’ una mia specialità. Devi sapere che sono un discreto cuoco.”
   “Scommetto che sei anche un cannibale, eh!?”
   “Sono pazzo, sono un assassino, ma non sono ancora diventato antropofago.”
   Mi servì un piatto davvero invitante e io mangiai avidamente quella carne deliziosa.
   “Andrebbe accompagnata con un buon Chianti, ma per questa volta ti consiglio di bere acqua” disse sorridendo.
   Seguii il suo consiglio, poi mi ritrovai a letto senza ricordare i passaggi intermedi tra la fine dello spuntino e il buio… Un’ellissi per me questa volta!
   A mezzogiorno meno un quarto di martedì 26 dicembre 2006 mi svegliai con un mal di testa bestiale. Alzai appena la testa dal cuscino e mi guardai intorno. Provai a concentrarmi e mi chiesi se era stato tutto un brutto sogno. Calma, mi dissi, ragioniamo… … …
   “No cazzo!” esclamai.
   C’era LUI di là nel mini-soggiorno che canticchiava una canzone che avevo sentito anni addietro a un concerto di Francesco De Gregori.
   “… Cammino come un dissidente / Come un deragliato, come un disertore / Senza nemmeno un cappello / O un ombrello da aprire / Ho il cervello in manette / Dico cose già dette e vedo cose già viste / I simpatici mi stanno antipatici / I comici mi rendono triste / Mi fa paura il silenzio / Ma non sopporto il rumore / Dove sarà la tua mano, dolce, / Dove sarà il tuo amore? / Povero me! Povero me! Povero me! / Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me…”
   “Aiuto!” dissi tra me e me.
   “… Povero me! Povero me! Povero me! / Non ho nemmeno un amico qualunque / Per bere un caffé… SEI SVEGLIO PIPPO? VUOI UN CAFFE’?”
   “Oh mamma, questo legge anche nel pensiero!” pensai.
   “SI, FORTE, MOLTO FORTE SE POSSIBILE” dissi dalla stanza.
   Presi il cuscino tra le braccia e ci schiacciai dentro la testa, rannicchiandomi in posizione fetale. Da lì cercai di ricostruire la nottata.
   “Possibile?” mi chiesi.
   Intanto Saul era entrato in camera con il caffé.
   “Dovresti andarci piano con il bere” disse, “soprattutto con il bere per dimenticare… altrimenti rischi di farti venire la gastrite… HA HA HA HA HA!”
   Possibile. Possibilissimo.



24


“Chi sei Saul? Chi sei veramente?”
   Eravamo seduti sul divano del mini-soggiorno, lo scrittore alla mia sinistra. Per il mal di testa avevo preso un’aspirina e ora stavo meglio, un meglio molto relativo però.
   “Chi sono? Sono un handicappato sentimentale! Tu non hai idea di cosa significhi crescere senza una carezza, un bacio, un abbraccio; senza nessuno che ti offra una spalla su cui appoggiarti, non avere mai un consiglio, uno sprone. Io ero molto peggio che un orfano: avevo due genitori che non mi amavano!
“Ricordo che da piccolo ero spesso depresso perché pensavo che la colpa di quella mancanza d’amore fosse mia, credevo di non essere un bravo bambino e quindi di non meritarmi l’affetto di mamma e papà. Allora cercavo di non deluderli mai, di renderli orgogliosi di me, a partire dallo studio, ma per mia mamma neanche esistevo, e mio padre, quando c’era, mi picchiava. Mi chiudevo in me stesso e non riuscivo a comunicare i miei sentimenti con nessuno. Sfogavo il dolore su un diario. Ero timido, riservato (cosa che mandava in bestia mio padre, il quale probabilmente avrebbe voluto un figlio fotocopia di lui), diffidavo della gente, paventavo i giudizi che mi riguardavano. Da adolescente avevo sviluppato una sensibilità delicatissima: ogni piccolo fallimento nella vita quotidiana era per me un terremoto.
“Nonostante tutto sapevo di avere un grosso potenziale da tirare fuori… No, non parlo del mio pene… Come posso chiamarlo? Talento? Ecco sì, talento! Dovevo solo trovare il modo di indirizzarlo da qualche parte. E dovevo anche trovare il modo di liberare la mia anima da quella prigione caratteriale che mi ero costruito in anni di disamore. Ma sai una cosa Pippo? Dalle prigioni caratteriali non ci si libera! Prima ero convinto di sì, anzi, ero io la prova vivente che ci si poteva emancipare dalle sbarre della personalità: avevo viaggiato, mi ero arrangiato, avevo vissuto, ero diventato uno scrittore famoso, un uomo stimato; ma ero rimasto il Saul Bartezzaghi bambino, che voleva essere bravo, il migliore forse, per mendicare un po’ di amore.
“A proposito di amore, negli anni ho avuto tante donne e come nel caso di Begonia credevo di amarle, ma pensandoci bene non ho mai amato nessuno, donna o uomo che fosse. Cercavo solo attenzione, volevo catalizzare sentimenti e lusinghe per appagare il mio ego smisurato, cancellare la mia scarsissima autostima e alleviare il dolore provocato da quella solitudine abissale che mi accompagnava dalla nascita.
“Chi sono, mi chiedi. Un uomo troppo solo, un uomo che non sa esprimersi con i sentimenti e quindi scrive. Solo coloro che soffrono possono scrivere – a meno che, come ti ho già spiegato, uno non sia un artigiano anziché un artista – perché scrivere è una catarsi. Farei volentieri a meno della scrittura in cambio di una vita e una personalità normali, ma il destino, marchio di fabbrica indelebile, non si cambia. “Siamo padroni del nostro destino” è una bella frase retorica. Se uno riuscisse a vedere il marchio che ha sul cuore, non ne sarebbe più tanto convinto.”
   Fece una lunga pausa durante la quale rimasi zitto, ipnotizzato da quella confessione che veniva dai meandri più profondi del cuore.
   “Ti voglio dire una cosa, anche se mi prenderai per pazzo…” proseguì, poi subito si mise a ridere, “… beh, per pazzo mi avrai già preso, comunque… Non ci crederai ma posseggo una dote soprannaturale: riesco a vedere l’anima delle persone! A volte non ho neanche bisogno di fermarmi a parlare con uno sconosciuto per vederla, ma se approfondisco la conoscenza essa risalta ai miei occhi. Risalta non è la parola giusta però, perché sono poche le persone con un’anima splendente. Troppo poche. Sai perché sono venuto da te? Perché sei una delle poche persone che conosco con un anima splendente, abbinata inoltre a un intelletto frizzante, il che è ancora più raro.”
   “Come puoi, alla luce di quello che mi dici, uccidere altri esseri umani?” chiesi improvvisamente.
   “Quando nel mondo ci sono così tante anime tetre, agli occhi di Saul il Pittore gli uomini diventano meri oggetti senza valore, se non quello di contenere sangue; a quel punto uccidere diventa come scrivere: il sangue mi aiuta a riempire le pagine della mia vita come prima facevo con l’inchiostro. Scrivere per uccidere e uccidere per scrivere: fa lo stesso. La gastrite diventa una sorta di chiamata alle armi!”
   Altra pausa. Accese una sigaretta.
   “Ora te la faccio io una domanda: ti piace quello che vedi intorno a te?” disse.
   “Beh, fino a ieri ti avrei risposto di sì, ma dopo quello che mi è successo… Barbara…”
   “Lascia perdere Barbara e il filtro dell’amore che ti faceva vedere tutto imbellettato! Ti piace l’ambiente umano in cui ti muovi? Mi spiego? Non noti niente di strano seguendo i discorsi degli amici e dei conoscenti, seguendo la politica e l’attualità, guardando la tv?”
   Accennai un “non saprei” e provai a dire qualcosa, ma Saul era un fiume in piena.
   “Tutta merda! Prendiamo la politica, per esempio. Come si fa a dare  il voto a questi cazzoni? Sono uno più falso, ipocrita, demagogo, viscido dell’altro. Non se ne salva uno. Come si fa? CO-ME-CAZ-ZO-SI-FA ? Meglio il caos totale. Mi piacerebbe che accadesse come in “Fuga da Los Angeles”, il sequel di “1997: Fuga da New York”, dove nel finale Jena Plissken spegne il mondo. Così si potrebbe sperare in un nuovo inizio, anche se, sinceramente, avere fiducia negli esseri umani è un po’ utopistico. Ognuno tira l’acqua al suo mulino e anche se ci fosse una mosca bianca, uno che avesse davvero a cuore la polis, è impossibile che non venga inglobato nel Sistema. Sono persino riusciti a estirpare la meritocrazia per mantenere lo status quo. Spegnere il mondo ho detto, ma il mondo lo stiamo già spegnendo. Non credo sia molto lontana l’apocalisse ecologica. L’uomo è un parassita che distrugge l’ecosistema in cui vive credendo forse che la Natura sia un gigante buono e paziente che sopporta tutto. Quando si ribellerà, e lo sta già facendo, schiaccerà noi cacchette perniciose, noi uomini-virus, senza pietà.
“E di tv vogliamo parlare? Io quando la guardo, sempre più spesso mi sento offeso nella mia presunzione intellettuale. Se non fai un’accurata cernita di programmi e film, i migliori dei quali vanno in onda solo in seconda e terza serata, trovi solo robaccia per lobotomizzati. D’altronde il Sistema deve imporre il Nulla contenutistico per mantenere la massa ignorante, altrimenti si rischierebbe il caos purificatore… Ti sto annoiando?”
   “Assolutamente, ti sto seguendo con interesse.”
   “Avrai senz’altro molti amici. Non ti accorgi di come sono ormai “fottuti”? Loro non se ne rendono conto, ma hanno subito un lavaggio del cervello preoccupante… Il Leviatano, o il Sistema se preferisci, ti propina le medicine che vuole e tu hai poche possibilità di farti un’idea obiettiva e profonda delle cose, dei fatti. Pensa per esempio ai grandi temi di attualità: guerra, terrorismo, tasse, eccetera. Come si fa – con il controllo che hanno sulle nostre menti – a sapere dov’è il giusto e dove lo sbagliato? Una volta che abbiamo elaborato un primo input possiamo approfondire con i nostri mezzi culturali e intellettuali, ma poi? Se siamo ottusi sbattiamo contro un muro. Se non siamo ottusi entriamo in un labirinto. La guerra è giusta o no? Che ne so! Se non fosse che da che mondo è mondo non fossero gli innocenti e gli inermi ad andarci di mezzo, potrebbe anche essere giusta. Si pagano troppe tasse? Può darsi, ma come faccio a sapere se sarà un bene o un male? E la pena di morte? E il perdono? Perdonare o non perdonare un mostro (un mostro vero, non come me!) che uccide un bambino? Il dibattito è sterile: il perdono è un sentimento intimo che riguarda il singolo individuo. Io non perdono, ma è un tuo diritto perdonare!
“Sono ben felice di avere poche certezze e non essere come quei coglioni da bar, che hanno le loro idee spesso retrograde, e le difendono a spada tratta. Mi piace avere posizioni in bilico. Certo, ho anch’io le mie certezze: per esempio sono convinto che Dio sia un’invenzione del Sistema per controllare meglio, soggiogandole, masse di poveri rassegnati bisognosi di qualcuno che pensi per loro.
“La libertà di scelta dell’individuo per quel che riguarda la propria vita è sacra. L’aborto, l’eutanasia, il divorzio, il matrimonio omosessuale, sono libertà assolute e intoccabili della singola persona. Se penso al mare di polemiche seguite alla morte di Piergiorgio Welby, mi viene la gastrite… Ma poi chi ammazzo? Il Leviatano è immortale! Tuttimodi, se un uomo decide che non vuole più vivere e c’è chi gli vorrebbe negare questo desiderio, puoi renderti conto dell’arretratezza culturale e spirituale su cui poggia le basi il nostro Belpaese…
“Bah! Caro il mio Filippo Corona, sto parlando di niente: la verità non si può spiegare, e solo l’anima la conosce.”



25


Pranzammo con pane e salame. Era l’una e mezza e io ero ancora stordito dal tourbillon di emozioni che dalla sera precedente si susseguivano a un ritmo incessante. La batosta inflittami da Barbara e Alberto ci avrebbe impiegato settimane, se non mesi, ad essere metabolizzata; ma intanto ero lì, con quell’uomo inquietante, a filosofeggiare e ad ascoltare le sue imprese sanguinarie.
   Dopo aver ucciso Begonia, nel luglio del 2005, Saul si era recato in Islanda rimanendovi diverse settimane, dopodichè aveva attraversato l’Atlantico ed era stato in Argentina, Cile ed Ecuador. Non si era soffermato molto a raccontarmi quello che aveva fatto in questi posti; di certo “riempiendosi” di luoghi nuovi e affascinanti  la gastrite ne aveva tratto giovamento. Nell’aprile del 2006, dopo un anno di peregrinazioni all’estero, era tornato nella sua città natale.
   “Ero quasi certo che la polizia mi avrebbe arrestato appena sceso dall’aereo” disse, “invece rimasi sorpreso: possibile che nessuno riuscisse a mettersi sulle tracce del Pittore? Beh, mi dissi, buon per me! Tra l’altro ero tornato con l’illusione di essere guarito…”
   Se fosse davvero guarito, Valeriano Baldini non sarebbe morto il 2 maggio del 2006, ventun’anni dopo aver incrociato la strada del futuro serial killer  più misterioso d’Italia.
   Baldini era titolare di un’ impresa di giardinaggio di Pisa che curava parchi pubblici e giardini privati. Nell’estate del 1985, Saul aveva trascorso una settimana alle sue dipendenze come operaio stagionale. Avrebbe dovuto lavorare per tutti e tre i mesi di vacanza dalla scuola, ma Baldini si era dimostrato un capo arrogante e pretenzioso nei confronti di un ragazzino che non aveva mai fatto quel lavoro. Lo rimproverava di continuo, non aveva pazienza di insegnargli, lo obbligava a fare i lavori più faticosi solo per un piacere sadico: ad esempio gli faceva potare i rami degli alberi con una sega a mano quando aveva la possibilità di farlo con una sega a motore. Dopo una settimana, come detto, Saul si licenziò. Il padre, grande amico (di bevute) di Valeriano Baldini, la prese malissimo e per un mese il giovane Bartezzaghi andò in giro con lividi dappertutto.
   “Lo sorpresi alle spalle mentre potava una siepe di lauro in un parchetto di Navacchio, vicino Pisa. Non c’era anima viva nei paraggi. Dopo averlo tramortito con un colpo alla testa, lo trascinai dietro un fitto roveto. Con le cesoie da potatore gli tagliai una ad una le dita delle mani, poi mi divertii a fargli un’operazione di chirurgia plastica: gli cavai i bulbi oculari e misi al loro posto due sassi bianchi sui quali disegnai due grandi pupille; gli tagliai i lati della bocca tanto da farlo sembrare un inquietante e sarcastico joker; gli rempii le narici di terra e come ciliegina sulla torta gli conficcai due rametti di nocciolo nelle orecchie. Sulla fronte scrissi RISPETTA LA NATURA con un pennarello nero.”
   “Cosa ti spinge ad infierire sui cadaveri a quel modo?” chiesi incuriosito.
   “Non sono uno psicologo e non mi sono mai soffermato ad indagare. Credo però abbia a che fare con la predisposizione artistica della mia anima, la quale mi spinge a improvvisare… Non a caso mi definisco un artista estemporaneo! Purtroppo dell’”opera” di Navacchio non ho immagini: quel giorno non avevo con me la macchina fotografica. Ma poco importa, non era granché il corpo elaborato di Baldini. Il vero capolavoro lo feci con Gargiulo.”


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